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martedì 25 dicembre 2012

e' Natale!

Avrei dovuto scrivere della fine del mondo............, se ci fosse stata.
Ma forse non ci sarei stato io. Quel forse rappresenta l'istinto di conservazione della razza umana.
Che cosa avrei portato con me.
Un pugno atomico di Mazinga,
un albo marvel, magari quello dove Thor sconfigge il Mangog,
una canna da pesca
una racchetta e la visione di un campo da tennis in terra battuta bagnato dal sole di settembre
un abbraccio
un sorriso
delle persone vicine
un film .........quale?
Star Wars, il vecchio Clint, o .....
e tutto questo sarebbe andato perso come "lacrime nella pioggia"
Ma i Maya si erano confusi, o forse no chissà?
Comunque è Natale
lo Zombonatale.
È arrivato lo Zombonatale  con un coscio di cinghiale da mangiare col cervello di qualcuno fortunello
Per quest'anno niente doni o regalini
ma pranzetti di intestini.
stai attento cattivello , va dicendo con un rutto,
io ti mangio e ti sbudello
A chi buono invece è stato
lo condisco col pepato
poi lo invito alla mia mensa
a mangiar con qualche flautolenza

sabato 24 novembre 2012

amarezza!

Il mio problema è proprio non aver mai fatto forca a scuola!

Il mondo non è fatto per chi non ha mai fatto forca a scuola!

fsn

mercoledì 12 settembre 2012

martedì 11 settembre 2012

la sottile linea scura!

Forse non sarà il romanzo più originale di Lansdale. Forse "in fondo alla palude", romanzo precedente, era migliore.
Oppure la sottile linea scura  completa con un romanzo di formazione il percorso dello scrittore facendolo entrare doverosamente tra i più grandi?
Non è importante tutto ciò, a parer mio.
Perchè la scrittura non è solo esercizio di stile.
Quello che conta per me è il fatto che in realtà non avrei voluto che finisse, non volevo abbandonare Stanley Mitchell. Ancora adesso me lo immagino insieme al suo cane Nub sulle strade diDewmont.
Un libro perfetto  anche nella copertina, rappresentante una main street come un biglietto del cinema strappato, in cui Landsdale crea, illuminando i ricordi di infanzia, l'atmosfera del Texas negli anni 50-60.
Per esempio ai margini della città viene descritto un cartellone pubblicitario che permette allo scrittore di interpretare il sogno americano in un ottica singolare.."Sul retro, tra la casa e la ferrovia, sovrastava il tutto un vecchio cartellone pubblicitario che aveva l'aria di non essere stato piu` sostituito dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Si trattava di una donna, bianca e tutta contenta, che teneva in mano una Coca Cola, con un sorriso largo e luminoso come le speranze di un deficiente. Ad un angolo di quel sorriso, il cartellone era strappato."

Il finale del libro poi è una sequenza indimenticabile di colpi che ti mandano al tappeto.
Tutto il romanzo è un percorso di formazione del protagonista Stanley e tutto sta nel prendere coscienza di se stessi e  della sottile linea scura che solca il cammino quotidiano dividendo i buoni dai cattivi, il mondo dei vivi da quello dei morti, il mistero dalla esperienza, l'ignoranza dalla conoscenza. Scegliere da che parte della linea stare.
Il tredicenne protagonista del romanzo passerà dall'essere un candido lenzuolo bianco  dispiace dirlo, ma avevo appena smesso di credere a Babbo Natale, e la cosa mi faceva andare in bestia” ad apprendere presto la cattiveria, il razzismo e il mondo in generale.
Grazie al percorso di crescita Stanley imparerà a conoscere la società in cui vive. A capire che ci sono persone che si arrogano il diritto di picchiare donne e bambini, che si credono superiori solo per il colore della pelle che portano.
Ma attraverso gli esempi positivi della sorella, del padre e agli insegnamenti della cuoca Rosy Mae e di Buster il proiezionista del drive in di proprietà della famiglia di Stanley, la sua esistenza si plasmerà in qualcosa di positivo in cui il ragazzo sarà in grado di vivere la sua vita non più da spettatore ma gettandosi in essa, imparando a conoscere e riconoscere i buoni dai cattivi. Aggiungo a differenza delle tante persone che lo popolano...
Era così assurdo come andavano le cose al mondo (e a Dewmont). Probabilmente tutte le città erano come la nostra, e tanta gente non lo scopriva mai. Mi sarebbe piaciuto essere come tutta quella gente. Ma ormai il coperchio del mondo era stato sollevato, e tutti i segreti e le brutture avevano iniziato a venir fuori"
Così in un susseguirsi di avvenimenti, di omicidi irrisolti, e misteri Stanley arriverà a capire che il segreto del passaggio verso l'età cosiddetta adulta "sta tutto nel pensare che sei diventato grande, e poi accorgerti che non è vero". 
Il finale è un capolavoro. L'epilogo del libro vede un anziano Stanley parlare di nuovo della sottile linea scura che attraversa l'esistenza umana collocando, a seconda delle scelte dettate dal libero arbitrio di ognuno, gli essere umani in categorie ben separate.
Un brivido percorre la schiena nel leggere le parole dedicate alla cuoca di colore Rosy Mae.."La seppellii alla periferia della città, nello stesso cimitero in cui riposano i miei, proprio nel cimitero in cui, fino a trent'anni prima, solo i bianchi potevano essere sepolti. E le feci mettere una pietra tombale grande come quella dei miei genitori. Dio la benedica".
In questo equilibrio, strano e precario, di gioie umane, di paure in bilico sulla linea del titolo sta la perfezione di questo libro....perchè
La vita non è giusta, non è che tutto quanto deve tornare a posto come i pezzi di un puzzle. Certe cose sono così e basta, e non c'è niente da spiegare. Puoi venirtene fuori con un sacco di se e di ma, e qualche volta puoi anche scoprire la verità. Ma molte delle cose che succedono non hanno proprio senso, e non combaciano mai.
Ed io sono ancora là insieme a Stanley, Rosy e Buster a correre via lontano da Bubba Joe.
Maledetto Lansdale!!!!

mercoledì 29 agosto 2012

C'era una volta l'estate...

...lunga, interminabile, calda e piena di aspettative solo come può esserlo l'estate di un ragazzo di 13 anni.
Forse è un'impressione, ma mi sembra che oggi  le cose succedano più in fretta che quando ero bambino. Non soltanto per il fatto di essere cresciuto ma per una condizione generale. Non solo auto e aerei e la velocità della luce, sto parlando della velocità della vita. Un tempo, si lavorava dalle nove alle cinque, o dalle 8 alle 14, si era a 
casa alle cinque e trenta o comunque per gran parte del pomeriggio, si giocava coi bambini al tramonto, oppure si faceva quello che più ci piaceva e andava di fare, poi si cenava alle sette-otto. Qualche ora a conversare o ad ascoltare la radio poi un pò di Tv e poi a letto. Ora... più gadget e meno qualità. Più cose, ma meno tempo per usarle. La gente attraversa di corsa la vita come se stesse per perdere l'autobus, affannata, incapace di rallentare. Forse timorosa di rallentare per paura di pensare. I giorni frantumati in ore, in minuti, in secondi, in appuntamenti. Tic, tic, tic, tic. E una dopo l'altra, le calde, lunghe notti d'estate che ci ricordano che è bello essere vivi anche solo per cercare un angolo di fresco, soccombono a rumori elettronici, isolamento e all'allettamento isolato dell'aria condizionata. Questo non è più il mondo in cui sono nato, e la cosa terribile, la cosa più devastante è che non so come riaverlo. È perduto. 

sabato 14 luglio 2012

IMBARBARIMENTO SOCIALE ED TECNOLOGIA

Tutti questi social NetWork. Tutta questa esigenza di rendere partecipi gli altri delle nostre vite, emozioni e quanto altro mi sembra una sorta di morbo che ha contaminato la cultura occidentale.
Il paziente zero mi sembrano siano stati quelli affascinati dalla TV. In costante ricerca dei 15 minuti di notorietà televisiva.
Frustrati dal fallimento hanno trovato nei social network una valvola di sfogo.
La sindrome da Grande Fratello, quello di Orwell, si è così diffusa in tutta la nostra cultura.
Le nostre esistenze, le nostre esperienze più significative, ma anche quelle più insignificanti assumono valore solo se e quando vengono diffuse attraverso i media e condivise con il maggior numero di persone.
Una sorta di regressione all'ètà primitiva, dove le vite dei singoli erano scandite da un certo numero di riti a cui partecipava tutta la comunità.
Nelle epoche successive l'uomo è diventato individuo e più sicuro di sè e indipendente, ma nei momenti di crisi collettiva di valori e di conseguente fragilità individuale come oggi ritorna la necessità di appoggiarsi ai propri simili e di amplificare il proprio vissuto per renderlo in qualche modo più reale.
I mezzi di comunicazione di massa, internet hanno strumentalizzato e utilizzato queste forme espressive spettacolarizzandole condendole con una dose preoccupante di cinismo.
Il nostro cervello, pressato da tutto questo, non riesce più ad elaborare i carichi emozionali, per cui ogni turbamento viene espulso e condiviso.
Tutto condito con narcisismo, esibizionismo voyeurismo che sviliscono le relazioni umane a banali frasi fatte e slogan e ci condannano ad una solitudine di milioni di esseri.
Il rimedio?, non lo vedo. Forse la cultura, coltivare i rapporti semplici , e per loro tramite ritrovare la capacità di critica e non farsi portare versola strada tracciata da altri.

fsn